Mastoplastica additiva: Rischi e complicanze

Le complicanze associate all’intervento di aumento del volume del seno sono:

Rottura della protesi:

Un tempo le protesi erano garantite per un periodo di circa dieci anni, ora le case produttrici hanno esteso la garanzia senza limiti di tempo. Tuttavia le protesi mammarie possono usurarsi con il trascorrere del tempo. Ad incidere sullo stato di salute di un impianto sono numerosi fattori fra cui ovviamente in primis la qualità, ma anche la tecnica chirurgica utilizzata e l’incisione effettuata, così come il luogo in cui viene inserita. Anche la paziente stessa gioca un ruolo importante nella durata della propria protesi conducendo uno stile di vita capace di influenzare lo stato di conservazione ad esempio esponendosi a traumi o ai raggi del sole.

Molti fattori dunque concorrono alla durata della protesi per questo è impossibile stabilire a priori e oggettivamente quanto questa sia destinata a durare nel tempo.

Nel caso una paziente sospetti la rottura di uno degli impianti mammari è opportuno che si sottoponga nel più breve tempo possibile ad accertamenti diagnostici fra cui un’ecografia mammaria che nella maggior parte dei casi è in grado di accertare la presenza di rottura della protesi o meno. Qualora tale test diagnostico non fosse sufficiente è possibile ricorrere ad una risonanza magnetica. Tuttavia non vi è alcun accertamento che possa indicare, senza un ragionevole dubbio, che una protesi si sia rotta.

Rigetto o contrattura capsulare:

Si tratta di un altro dei rischi più comuni, seppur raro, in un intervento di mastoplastica additiva. Pur essendo costituite da un materiale “Bio-compatibile” ovvero il silicone, le protesi rappresentano sempre un intruso che induce i sistemi di difesa del corpo ad entrare in azione. Generalmente ciò che accade è che l’organismo fabbrichi un rivestimento fibroso intorno alla protesi, che si dimostra più stretto nelle protesi texturizzate e leggermente più largo in quelle lisce. Tale rivestimento gioca un ruolo positivo nei termini in cui in un certo senso fissa la protesi impedendole di uscire dal proprio alloggiamento. Inoltre, in caso di rottura, tale cicatrizzazione diviene una barriera capace di trattenere il materiale fuoriuscito dall’impianto.

A volte però la difesa del corpo si manifesta in maniera più forte e la barriera creata per combattere l’intruso ha maggiore spessore e rigidità. Di fatto la protesi viene stretta da questa barriera fino a perdere la propria morbidezza e a contrarsi deformandosi. In questo caso siamo di fronte a quello che in medicina viene definito “contrattura della capsula periprotesica” o rigetto.

Per capire la severità della contrattura esiste una gradazione di livelli chiamata scala di Baker che individua quattro distinti gradi:

grado I: al tatto e all’occhio la protesi rimane impercettibile;

grado II: la presenza della protesi non è visibile, ma diviene percettibile al tatto rendendo lievemente più rigido il seno rispetto alla consistenza di un seno senza impianto mammario. Spesso tale condizione viene vissuta positivamente dalle donne che apprezzano questa contenuta rigidità come un maggiore sostegno della mammella che appare così più tonica;

grado III: l’impianto mammario è visibile e percettibile al tatto a causa del fatto che si trova fissato in modo artificioso ai tessuti confinanti;

grado IV: si tratta dello stadio più severo di rigetto che può risultare accompagnato da dolorabilità. La cicatrizzazione interna ha deformato ed indurito la protesi, conseguentemente il seno assume una forma non naturale ed una rigidità eccessiva che può portare indolenzimento.

Il rigetto è uno dei rischi associato da sempre alla mastoplastica additiva, ma la sua insorgenza, grazie alle tecniche moderne e a terapie di prevenzione, si è notevolmente abbassata. Se infatti negli ’80 compariva nel 30% degli interventi attualmente la casistica si attesta su un 1-2% (protesi impiantate sotto al muscolo o con la tecnica mista).

Attualmente esistono delle terapie finalizzate ad evitare il rischio di contrattura capsulare che contemplano l’uso di farmaci o di ultrasuoni. Se l’utilizzo di corticosteroidi accende un dibattito intorno alla vera utilità, sembra dimostrata l’efficacia dei farmaci inibitori dei leucotrieni (solitamente utilizzati nella cura dell’asma) che producono reazioni infiammatorie. Un’altra strada percorribile è quella legata all’utilizzo di ultrasuoni che hanno note proprietà antinfiammatorie. Non solo, gli ultrasuoni rivestono un ruolo fondamentale poiché in grado di stimolare il drenaggio dei fluidi riducendo il gonfiore e favorendo così il processo di guarigione post-operatorio. Note anche le loro proprietà benefiche legate alla capacità di ossigenare i tessuti e il metabolismo delle cellule.

Altre complicanze: Fra le rare criticità che possono insorgere dopo un intervento di mastoplastica additiva vanno ricordate sepsi, mutamenti nella sensibilità di areola e capezzolo (ipersensibilità o iposensibilità), asimmetria della mammella, scivolamento della protesi e presenza di fluidi. Una delle questioni che più destano l’interesse delle donne che si sottopongono ad aumento del seno è la possibilità che l’intervento possa interferire con l’allattamento. È stato scientificamente escluso che nel latte materno possano trovarsi sostanze nocive provenienti dall’impianto mammario, tuttavia non è possibile escludere una diminuzione delle capacità di allattamento soprattutto se l’incisione effettuata è di tipo periareolare.

Le possibili complicazioni e i rischi associati all’intervento di mastoplastica additiva verranno esposti alla paziente dallo stesso chirurgo nel corso della visita pre-operatoria e sono contenuti in un modulo elaborato dalla Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed Estetica (SICPRE) che prende il nome di consenso informato e che la paziente sarà tenuta a firmare.